La 19^ edizione di RistorExpo nasce dall’esigenza di sviluppare, attraverso un serio impegno di marketing territoriale, il confronto di idee e la crescita professionale nel settore enogastronomico attraverso l’incontro con le circa 200 aziende presenti, seminari, workshop, stage, ecc. All’ inaugurazione ufficiale di quest’anno, presentata da Federico Quaranta (Rai Radio 2, La Prova del Cuoco, Decanter), erano presenti Giovanni Ciceri, ideatore e curatore del progetto, Giacomo Mojoli, Design Thinking food and wine e giornalista, Marco Stabile, presidente Jeunes Restaurateurs d’Europe, Davide Paolini gionalista del Sole 24 Ore, e lo chef Davide Scabin.
Al dibattito si è cercato di dare una risposta al perchè della scelta di questo titolo “anarchia enogastronomica”: oggi, dopo anni di Nouvelle Cuisine, di naturalizzazione, di cucina molecolare, ….il vuoto; nessuno sa creare una linea, non ci sono utopie da seguire, tutti cucinano, ma pochi sanno davvero farlo! Nel corso di queste giornate,invece, ci si è resi conto che le idee ci sono e che molti chef hanno un ruolo nella cucina e seguono un loro stile. Guardate Scabin, un genio, uno che ha davvero creato uno stile, un’arte, un pensiero gastronomico che molti hanno seguito per anni e che seguono ancora. Lo chef più anticonformista che conosco, colui che è andato sempre contro tutto e tutti, dall’aspetto rude, ma dal cuore gentile e da una grande sensibilità che ha commosso i presenti quando ci ha raccontato, nella seconda giornata, durante la sua Lectio Magistralis, del bue “Orazio” protagonista di una sua creazione “dinamico di bue e gallina”.
I suoi piatti affascinano e non è solo una questione cromatica, ma è un gioco di sensibilità intese come incroci sensoriali, ma c’è anche un grande lavoro di conoscenza. Scabin ci ha mostrato attraverso una serie di slides, il suo lungo percorso: una carrellata di eventi che hanno cambiato il modo di fare cucina, (la steak tartare B.C, il check salad, lo space food, ecc), e, ascoltandolo, ci rendiamo conto che è un uomo molto curioso e la sua curiosità lo ha portato ad anticipare il corso della storia della cucina. L’attenzione più grande è stata posta al numero d’oro a cui hanno attinto, inconsciamente, artisti del passato e chef contemporanei come Bottura, il grande Gualtiero Marchesi, e altri. Ma ritorniamo indietro alla domenica che ha visto come protagonista del pomeriggio Fabrizio Ferrari, chef stellato del ristorante “Al Porticciolo 84” di Lecco, il quale ha dimostrato grandi abilità tecniche e una cucina fatta di diverse consistenze nel piatto e dall’accostamento di diversi ingredienti che però si fondono insieme con armonia.
Poi è stata la volta del “poliedrico” Giancarlo Morelli e della sua cucina fatta di cose vere, sincere e della suo legame al territorio e, il piatto che ha presentato, riso carnaroli con crema di porri, formaggio di capra e polline di miele di castagno, ci ha deliziati! Il terzo giorno è stata la volta dello chef “giardiniere rock” Paul Cunningham. Inglese di origine, ma danese per adozione (ha sposato una stupenda ragazza danese), lo chef ci ha trasportato, attraverso un serie di slides che mostrano la campagna danese, in uno spazio ameno dove ciò che conta sono le radici, la famiglia, le cose buone che offre la terra. Ama coltivare i prodotti che poi utilizza nella sua cucina al “Henne Kirkeby Kro”,e, la selvaggina che prepara proviene da un’isola di proprietà del suo capo. I suoi piatti ricordano il profumo di radici, di terra, di amore per la genuinità e “ più il cibo è semplice più si avvicina alla perfezione: un buon burro , una buona pasta e un buon sale e non serve altro” dice; il suo motto è “credi in te stesso e non nel tuo successo!”.
Nel pomeriggio è stata la volta di Matteo Monti, giovane promessa nel firmamento della cucina italiana. Uscito dalla cucina di Lopriore prima, e di Scabin poi, Monti è la perfetta incarnazione dell’artista un po’ genio un po’ pazzo, ma che all’opera si trasforma in un vero professionista che sa stupire e deliziare con i suoi piatti. Il neo chef è da circa un anno alla guida del ristorante Rebelot del Pont di Milano che segue una filosofia di libertà in accordo con i temi affrontati al RistorExpo di quest’anno (anarchia enogastronomica): si può abbinare un vino ad un piatto, o, perchè no, un drink!
Quarto e ultimo giorno non è stato da meno degli altri ,anzi, direi che si è concluso in maniera emozionante e unica con la presenza di Pino Cuttaia, lo chef pluristellato del ristorante La Madia di Licata. Lo chef siciliano non ha solo realizzato piatti unici, ma ci ha spiegato l’esatta esecuzione dei piatti: i grandi non temono rivali e scopiazzature varie! Lo chef ha parlato di profumo, gesti e sapori che contraddistinguono la nostra infanzia e che ritroviamo sempre in cucina, presentandoci tre piatti che fanno parte dei suoi ricordi e della sua infanzia: la pizzaiola della madre, ovviamente, rivisitata con un cornicione di pizza, una crema di patate, pomodoro in polvere, origano, olio, e merluzzo affumicato con la pigna; una caprese smontata, e, per finire, un polpo in roccia con lenticchia essiccata. Ma allora mi chiedo, – se la cucina è quella della nostra infanzia, rivisitata e “super modificata”, ritorniamo al concetto di Cunningham e della sua cucina legata alla famiglia?- Io direi che il cuore della cucina sono sempre le nostre radici, l’amore per la famiglia e l’amore per la nostra terra.